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Un assaggio di "Un Natale sbagliato"

Aggiornamento: 26 mar 2021


28 dicembre 1929

Persino io avevo intuito che nelle parole dei coniugi Trivento c’era qualcosa che non andava ma, mancandomi il fiuto da poliziotto di Valeri, non riuscivo a mettere bene a fuoco di cosa si trattasse.

La sera prima ci eravamo lasciati in modo freddo e non mi aveva dato nessun appuntamento. Non credo che non mi volesse più tra i piedi, perché me lo avrebbe detto in faccia. Forse oggi sarebbe stato impegnato con altre questioni, oppure neanche lui sapeva come proseguire con l’indagine.

Pensando che quest’ultima eventualità non fosse poi così campata in aria, ho deciso di muovermi per conto mio: ero piuttosto bravo a far parlare la gente e raccogliere informazioni. Se fossi riuscito a contribuire in qualche modo, Valeri non avrebbe potuto fare a meno di mettere una buona parola per me al giornale. Sperarlo non costava niente.

Così mi sono assentato in modo ingiustificato dal lavoro; una ramanzina era un prezzo onesto da pagare per poter scrivere il mio primo vero pezzo giornalistico di cronaca nera.

Avevo letteralmente visto nascere il quartiere Concordia, che oramai tutti chiamavano la Garbatella. Quel 18 febbraio 1920 ero un giovane di belle speranze che aveva da poco intrapreso la carriera giornalistica come praticante. Ebbi l’opportunità di presenziare alla posa della prima pietra, da parte nientemeno che del Re Vittorio Emanuele III, la mia prima “missione” fuori dalle quattro mura del Messaggero. Sono rimasto affezionato a quell’agglomerato di strane case descritto come “città giardino”, e nel tempo ho conosciuto varie persone che si sono trasferite lì per lavoro o per necessità. Proprio da queste intendevo cominciare la mia indagine.

Mi sono recato al giornale, stavolta di buon’ora, per raccogliere informazioni in archivio. Poi ho preso al volo il tram numero 18, che da piazza Barberini mi avrebbe portato alla Basilica di San Paolo fuori le mura. La vettura è transitata per piazza Venezia, dove i passanti non potevano fare a meno di lanciare un’occhiata al balcone; quindi, dopo un tragitto sul lungotevere, ha lasciato la città per percorrere un ultimo, lungo tratto rettilineo sulla via Ostiense, distesa nella campagna fuori porta.

Sceso al capolinea, proprio sotto la bianca mole della chiesa, ho affrontato a piedi un breve ma ripido tratto in salita fino ad arrivare nel cuore della Garbatella. A quel punto ho ripreso fiato e mi sono messo all’opera.

( CONTINUA)

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