Roma, 1932.
Giovan Battista Picasso, redattore di spettacoli del Messaggero, incontra per caso una sua vecchia conoscenza di quando aveva vissuto a Tripoli, all’epoca fiorente colonia italiana. Ma il destino è bizzarro: un giorno in cui Picasso si reca di nuovo a visitarlo, l’uomo viene trovato morto nella sua biblioteca.
Il commissario Valeri, amico del giornalista, si trova ben presto a indagare, oltre che sul delitto, anche su uno strano furto subito dalla vittima. Almeno tre sono i sospettati, tutti con solide motivazioni. Mentre viene vagliato ogni indizio, ci si interroga su come l’assassino abbia potuto agire. Il mistero arrovella Picasso non meno del suo sentimento per Giulia, un’attrice piacevole e intelligente, con la quale ha condiviso una recente e drammatica vicenda. Giulia è, oltre che bella, delicata ed elegante nei modi; ciò nonostante, mangia quanto un carrettiere. O, quantomeno, lo fa quando sta con me. Una mezza porzione di solito non le basta.
— Avevo una tale fame, — è stato il suo commento dopo aver spazzato via un piatto di ravioli di magro. — A mezzogiorno non ho praticamente toccato cibo.
— Perché, cosa ti è successo?
— Dopo una mattinata di spese ho invitato Adele,a pranzare assieme e lei ha accettato con entusiasmo.
— Mi pareva tu avessi detto di aver saltato il pasto.
— Non proprio, ho sgranocchiato qualcosina. Sta di fatto che ero molto attenta ad ascoltare quel che lei raccontava. In questi casi non posso distrarmi per studiare il menù o affettare con grazia una cotoletta. E poi non volevo dare la falsa impressione di essere una mangiona.
— Capisco. — Se si fosse fatta una tale idea sbagliata su di te, poi sarebbe stato difficile convincerla del contrario.
— Proprio così.
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